domenica 2 gennaio 2011

Relazione GIOCODANZA® di Daniela Marini- Torino 2011

     Lucy e il Giocodanza
    Lucy teneva una tazza di camomilla fumante tra le maniche del maglione da casa che si tirava su fino alla punta delle dita e guardava fuori dalla finastre come se non vedesse la neve leggera che scendeva portandosi via le tracce del giorno.
    Era da un po’ che non parlava d’altro che del galà di natale “sarà l’ultima volta che calcherò un palcoscenico” così diceva ma questa frase l’avevo sentita già tante volte e per forza di cose da tempo aveva ormai perso la sua solennità; eppure c’era nella sua voce qualcosa di diverso nel dirla, una corda spezzata che si ripercuoteva nel tremolio delle sillabe sconnesse, quasi impacciate.
     Lucy aveva danzato tutta la sua vita, ne contava il ritmo come essa fosse un infinito pentagramma segnato di singole note, ogni nota un traguardo, ogni nota una corsa con il tempo. Si respirava nell’aria che le stava attorno la presenza di un qualcosa estraneo alla normalità, qualcosa di artificioso e pesante. Ma da un po’ con la storia del galà era diversa e se devo essere sincera faccio fatica a spiegarlo: parlava di essenzialità, spontaneità, di ritorno alla calma, frasi sconnesse che definivano, in qualche modo, uno stacco, l’abbandono di una rigidità troppo perfetta. Riavvolgere il nastro come se niente fosse.
     Quella sera Lucy restò chiusa in bagno più di un ora senza aver toccato la cena che le avevo preparato e ne uscì dietro una nuvola di nebbia come se atterrasse da un astronave aliena. Restò ferma in accappatoio a guardarmi con un espressione compiaciuta e mi disse “voglio andare a lezione di danza con Maria”.
     Maria era la mia cuginetta di cinque anni, spesso stava da noi quando zia Ketti rimaneva bloccata al lavoro, andava nella scuola di danza dietro l’angolo, la chiamavamo la “scuola di magia” perché da quanto ne diceva lei accadevano strane cose lì dentro, ma si sa, la fantasia dei bambini e qualcosa di totalmente inafferrabile.
    Per un attimo credetti che stava scherzando ma più parlava più capii che lo scherzo si era trasformato in follia e che nessuno sarebbe stato in grado di farle fare un passo indietro. Aveva un nome abbastanza conosciuto nel suo campo e nessuna scuola le avrebbe mai detto di no perché significava rinunciare a una bella pubblicità per giunta gratuita e così, decisa come un treno in corsa, si lanciò in quella che fu a suo modo di dire l’esperienza più straordinaria della sua carriera.
    Ci addormentammo con una strana perplessità addosso.
Passate tre settimane dal suo primo giorno nelle scuola di magia, una sera Lucy sentì il bisogno di raccontare. Eravamo sedute sul tappeto della sala davanti al caminetto acceso, avvolte nelle nostre coperte a scacchi, l'odore di incenso alla vaniglia sembrava addolcire anche il sapore della tisana alle erbe che Lucy credeva miracolosa per la digestione e il buon umore, io l'odiavo in principio ma poi imparai a berla senza accorgermene, per amore delle abitudini e dei rituali che accompagnavano quel gesto. In effetti era da un po' che il vasetto della tisana rimaneva inviolato nella credenza della cucina così come molti dei piccoli gesti di quella sera ci parvero insoliti tanto era il tempo trascorso senza di essi. Una piccola magia sembrò concentrarsi intorno al racconto di Lucy come a volerne sostenere la stranezza. In effetti ora che ci penso erano i suoi occhi, per primi, a essere stranamente lucidi e vispi, piccole stelle incoronate da lunghe ciglia nere, credo fosse un espressione felice, all'inizio ne dubitai. Raramente posso dire di aver visto Lucy felice, cioè, e qui arriva il difficile, lei amava quello che faceva ma a mio modo di vedere aveva perso il gusto di farlo, forse la sua voglia di divertirsi ballando si era persa dietro le ore passate a volere di più.
     Quell'espressione mi colpì ma non fu niente confrontato allo stupore che provai durante il suo racconto. Io non so quanto di vero ci sia nelle sue parole ma l'immensità di dettagli e particolari che mi piovvero addosso mi indussero a credere che tutto fosse realmente accaduto.
I suoni la musica e il nostro corpo sono ingredienti speciali per raccontare storie fantasiose e immagini danzate. Una piccola famiglia vestita di rosa si saluta al suono di campanelli per dare il via alla magia, sguardi passeggeri inchini e cin cin per rompere il ghiaccio e trasformare le pareti della stanza in una distesa d’acqua. Neanche il tempo di contare fino a tre e il gioco è iniziato, ma dobbiamo stare attente e aprire le orecchie se non vogliamo essere pescate dai pirati; si, perché ora siamo sirene e con le braccia tese nuotiamo fino a che non sentiamo i tamburi sbattere come impazziti. Le braccia si muovono tra l’acqua, leggere e allo stesso tempo forti pronte poi a stringere le altre sirenette arroccate sul mio stesso scoglio. Nessuno si è fatto male e ci si rincuora contando la musica, battendo le mani e camminando tra ciliegine intonate che prendono ombra dagli alti girasoli. 1 2 3 4 5 6 7 8 il numero di telefono della Signora Danza o forse della Maestra tanto sbadata da farsi suggerire gli esercizi da un orsacchiotto in tutù… a furia di pensare sono finita nel lato dei Fiori e con il corpo cerco di costruire il contorno di una margherita, poi aspetto in posa la foto e con le mani sulle spalle attraverso la stanza verso il lato degli strumenti, i gomiti alti come vuole Lulù.. Guardo l’orologio appeso e sento le compagne sperare che non sia troppo tardi per andare nel bosco e trasformarsi in buffi animali che si salutano sfregandosi il sedere o pizzicandosi a vicenda. Senza accorgersi una piccola coreografia si forma davanti ai miei occhi e io ne faccio parte, poi basta una parola magica per ritrovarci con la schiena atterra. Ora siamo balconcini pieni di fiori dove la maestra si affaccia a salutare la gente che passa, le mie piccole vicine si affaticano, sorridendo, a stendere le ginocchia il più possibile per accontentare di nuovo Lulù. Ho costruito una statua trasformando una ballerina mignon in pasta modellabile e poi ho danzato con lei schiena contro schiena, testa contro testa, spalla contro spalla. Ora non siamo più danzatrici ma signore spocchiose che si preparano per un grande viaggio, ci siamo tolte body e calza per indossare scarpe con il tacco ed eleganti abiti da sera. Manca solo il soprabito e il cappello per la partenza. Ogni danza una meta e ogni meta una musica diversa che rievoca posti mai visti, soltanto immaginati, basta un battito di ciglia. Siamo stanche in cerchio seguiamo i movimenti della maestra ma l’attenzione è sempre rivolta verso quel cesto al centro del cerchio: schiena, testa, braccia, gambe, usiamo tutto il corpo per arrivare a domandarci che cosa ci sia nascosto là dentro finalmente possiamo toccare con mano e una pioggia di coriandoli ci cade addosso, ridiamo, lanciandoci ancora quei pezzetti colorati… una sequenza di lunghi respiri si porta via la lezione che è volata sotto i nostri occhi increduli e felici.
    Lucy ha debuttato al galà con un energia nuova, fresca, genuina. Ora insegna danza costruendo mondi fantasiosi dove è più facile far fiorire quella che è una straordinaria forma d’arte che abita dentro ogni corpo, come un tesoro magico da scoprire e amare.
    Credo che il Giocodanza non sia soltanto un ottimo metodo di insegnamento ma anche l’essenza stessa della danza ovvero la fantasia. La Danza è la proiezione di un mondo perfetto che dobbiamo saper immaginare prima di ballare…..
Daniela Marini

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