martedì 25 gennaio 2011

Relazione GIOCODANZA® di Elisa Vergani - Milano 2011

    Frequento un corso di danza classica dall’ormai lontano 1993, cioè da quando avevo 6 anni. Mi ricordo che le lezioni iniziavano sempre con gli esercizi a terra per riscaldarci e per potenziare l’apertura delle gambe, in seguito si andava alla sbarra e in centro per eseguire gli esercizi di tecnica. Mi piaceva fare danza, anche se l’unico momento di puro divertimento in cui potevamo esprimerci liberamente era il ballo libero finale.
    Qualche anno fa, guardando i balletti proposti al saggio di fine anno dai corsi propedeutici, mi sono resa conto del rinnovamento del metodo utilizzato con le bimbe più piccole. Infatti sul palco sono “apparsi” degli attrezzi come cerchi, veli, paracadute…e le piccole ballerine si trasformavano magicamente in graziosi animaletti o personaggi buffi. Mi hanno detto che quel metodo così innovativo si chiamava Giocodanza e, sentendo questo nome, ho subito immaginato che si imparassero le basi della tecnica classica attraverso vari giochi. Ma il dubbio era: con quali giochi è possibile insegnare danza? Con questo metodo, si impara solamente la tecnica o c’è qualcosa in più?
    Il dubbio mi è rimasto fino al 2007, anno in cui la direttrice della scuola che frequento mi ha chiesto di diventare assistente nel corso di Giocodanza 2 (quell’anno i corsi di Giocodanza nella nostra scuola erano due, il primo per le bimbe di 4 anni e il secondo per quelle di 5 anni). Ho accettato l’incarico con qualche riserva perché ho sempre detto che non avrei mai insegnato danza nella mia vita. Dal momento in cui ho messo piede in quella sala, ho capito che le bimbe non stavano imparando solamente la tecnica. Durante le prime lezioni sono stata un po’ in disparte e mi sono limitata a correggere le posizioni errate però ho avuto la possibilità di osservare il comportamento delle bambine: si notava che i loro occhi erano rapiti da quello che diceva l’insegnante e la gioia e l’allegria che si leggevano sui loro volti, erano contagiose. Col passare del tempo ho iniziato a prender parte ai giochi e ho capito il motivo dell’allegria delle bambine: quasi senza accorgersene e, soprattutto tramite un’attività ludica potevano imparare le basi tecniche della danza ma anche come relazionarsi con le altre bambine, come utilizzare lo spazio, come contare la musica e molto, molto altro.
    Per il saggio di quell’anno, l’insegnante dei corsi di Giocodanza ha proposto l’idea di riservare una serata solo per l’esibizione delle bimbe, in modo che il loro saggio fosse proprio il “loro”, creandolo su misura per le loro esigenze e dando alle piccole della scuola l’opportunità di esibirsi il più possibile senza essere “oscurate” dai balletti dei grandi. L’idea è stata accolta e approvata immediatamente e quindi l’insegnante di Giocodanza, insieme a me e alle due assistenti del corso Giocodanza 1, ha elaborato una scaletta ad hoc per permettere alle bimbe di mostrare quello che avevano imparato durate l’anno. Questo tipo di spettacolo ha riscosso un enorme successo tra i genitori tanto che l’idea del saggio di Giocodanza è stata riproposta negli anni successivi con cambiamenti dettati dall’esperienza passata (quest’anno, per esempio, il saggio del Giocodanza si è svolto di sabato pomeriggio per agevolare il più possibile bambine e genitori).
    L’anno successivo i gruppi di Giocodanza sono diventati tre e l’insegnante ha deciso di affidare la responsabilità di ogni gruppo a una delle assistenti. Io ho continuato a seguire il mio primo gruppo che ormai era diventato Giocodanza 3 partecipando però alle lezioni degli altri gruppi e, in questo modo, ho avuto l’opportunità di vedere e provare i giochi dei vari livelli. Più passavano i mesi, più l’insegnante ci lasciava condurre i giochi da sole, dandoci sempre preziosi consigli per migliorare il nostro approccio con le bambine e il modo di correggerle. Così siamo arrivate allo scorso anno accademico, un anno che per me è stato particolare sotto molti punti di vista relativi sia alla mia vita privata sia alla danza. Per quanto riguarda la mia vita privata, ho avuto una grande gioia seguita, purtroppo da un grandissimo dolore. Infatti, pochi mesi dopo il conseguimento a pieni voti della laurea triennale in Mediazione Linguistica e Culturale, abbiamo scoperto che mio papà aveva una malattia incurabile che se l’è portato via in 8 mesi. La situazione a casa era piuttosto pesante ma quelle poche ore la settimana che passavo con le bambine del Giocodanza mi hanno sempre aiutato a non pensare per un po’ a quel grave problema. Le bambine più piccole hanno davvero la forza di strapparti un sorriso anche nelle situazioni più difficili…
    Per quanto riguarda la danza, ho lavorato per la prima volta con la totale responsabilità del corso affidatomi perché l’insegnante cui ho sempre fatto da assistente ci ha seguito solo come supervisore esterno e per la prima volta, con molta ansia da parte mia, ho dovuto anche preparare il saggio di fine anno delle mie allieve. Quest’anno poi, io Claudia (un’altra ragazza presente al corso) siamo le insegnanti dei corsi di Giocodanza e per questo, anche grazie al suggerimento dell’insegnante che abbiamo sempre aiutato, stiamo frequentando il workshop a Milano. Per assorbire più nozioni possibili e non essere influenzata da tutto ciò che conoscevo già, ho cercato di immaginare di non aver mai assistito a una lezione di Giocodanza, anche se è stato molto difficile perché in realtà conoscevo già il metodo da quattro anni. Devo comunque ammettere, dando ragione all’insegnante che ci ha suggerito di frequentare il corso, che provare i giochi in prima persona mentre chi te li spiega è colei che ha inventato il metodo è decisamente diverso da vederli riportati da un’altra persona perché ognuno fa delle modifiche in base alle proprie esperienze.
   In questi anni ho lavorato come assistente anche nei corsi inferiori di danza classica e la prima conclusione che posso trarre da questa esperienza a favore del Giocodanza è che raramente mi è capitato di vedere una bambina di questi corsi con un’espressione annoiata, anzi le bimbe sono sempre in attesa di una novità, di una sorpresa, di un colpo di scena durante la lezione. Sicuramente è diverso anche il rapporto che si crea tra l’insegnante e le bambine perché molto spesso si gioca tutte insieme. Ho anche notato che alle bambine che hanno frequentato il Giocodanza, non è necessario rispiegare per esempio le posizioni di base o i portamenti delle braccia perché, anche se spesso inconsciamente, li hanno già imparati. L’insegnamento del Giocodanza ha cambiato anche me: anche se all’inizio non è stato semplice relazionarmi con le bambine visto che sono piuttosto introversa, silenziosa e fatico a dare subito confidenza alle persone che non conosco, sono riuscita a instaurare un bel rapporto con le bambine e mi riempie di gioia ricevere saluti calorosi quando le incontro al di fuori del contesto “danza”.
    Dopo quasi quattro anni in cui sperimentiamo Giocodanza insegnato a tre gruppi di bambine di età pressoché omogenee (4 anni, 5 anni e 6 anni) credo che ormai abbiamo raggiunto un buon equilibrio e penso che continuare a insegnare Giocodanza in questo modo porti a dei buoni risultati. Trovo inoltre molto comodo preparare uno schema delle lezioni all’inizio dell’anno sentendomi però libera di variare la lezione in base alle giornate, a come mi sento io e a come si comportano le bambine. Mi dispiace solo non aver assistito alla prima applicazione del Giocodanza in gruppi che avevano già iniziato a frequentare i corsi di propedeutica classica per vedere la reazione delle bambine a questo cambiamento. Vedo comunque che le bambine sono contente di tutto ciò che fanno e, da quello che mi dicono le mamme, anche a casa le bimbe si divertono a mostrare e a insegnare ai genitori i giochi fatti durante le lezioni.

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